MAGNA GRECIA -CALABRIA : LOCRI ( Λοκροὶ Επιζεφύριο )Tra i pinax in terracotta policroma rinvenuti nel Persephoneion, santuario di Persefone a Locri Epizefiri e risalenti al 490/480 a.C. – esempi eccezionali di arte votiva nella Magna Grecia – al fianco del ben famoso “Persefone e Ade”, si pone questo splendido manufatto, oggi conservato al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, che rappresenta una giovane donna che ripone il suo peplo nuziale in una lussuosa cassapanca (kibotos), simbolo del rito di passaggio legato al matrimonio.
Al centro della scena, una fanciulla, vestita con un chitone senza maniche e un corto mantello, è raffigurata mentre ripone un tessuto, forse il peplo nuziale, all’interno di una cassapanca decorata. La cassapanca presenta due metope scolpite, raffiguranti una gigantomachia e una scena di ratto. La scena è arricchita da una serie di oggetti sospesi alla parete, come un kalathos rovesciato, un kantharos, una lekythos e uno specchio, dettagli che testimoniano la cura per gli aspetti simbolici e decorativi.
I pinakes erano tavolette votive in terracotta, spesso appese alle pareti degli edifici sacri o agli alberi del santuario. Questi oggetti votivi erano realizzati in onore della dea Persefone, protettrice del matrimonio e della fertilità. Le giovani donne offrivano i pinakes nel santuario della Mannella per invocare la protezione della dea e garantire un matrimonio fecondo e prospero.
Le raffigurazioni su questi pinakes riflettono i riti e le credenze legate alla transizione verso la vita matrimoniale e alla fertilità, elementi centrali nel culto di Persefone a Locri Epizefiri. Le spighe spesso presenti nelle raffigurazioni della dea simboleggiano proprio la fertilità della terra, strettamente connessa al mito del suo ritorno stagionale dal mondo sotterraneo.
Questo pinax non solo rappresenta un’importante testimonianza della devozione religiosa delle donne della Magna Grecia, ma è anche un’opera d’arte che illustra l’alto livello artistico e culturale raggiunto dalle città greche dell’Italia meridionale.
Luigi Sedita